Archimede Pitagorico, come molti dei nostri beniamini del mondo dei Paperi, è uno dei numerosi figli di Carl Barks. Il geniale inventore fa la sua prima, breve comparsa nella celebre L’amuleto del cugino Gastone. Nonostante sia una figura secondaria all’interno della narrazione, si capisce subito che il nuovo arrivato sia un personaggio a dir poco particolare, destinato a durare per più di una sola storia.
Fin dalla sua nascita, Archimede ci appare come un individuo con oggettive capacità tecniche, che mette in pratica per il bene della comunità. Queste capacità sono però spesso accompagnate da progetti e idee a dir poco particolari.
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Il suo nome americano (Gyro Gearloose) d’altronde, lascia pochi dubbi sull’essenza del personaggio, dato che è traducibile letteralmente come “Giroscopio Svitato”. Vedremo però, come lo stesso Barks arricchirà la psicologia del personaggio nel giro di pochi anni, scavando più a fondo nella sua eccentrica personalità .
Genio o bizzarria?
In Paperino e la macchina soffiapensieri,- seconda apparizione di Archimede, nel giugno 1952 – la dualità del personaggio è ulteriormente approfondita. Già a partire dall’incipit, Paperino manifesta disprezzo e scherno nei confronti dell’inventore: ritiene infatti Archimede un fallito con la testa tra le nuvole, incapace di creare qualcosa che sia effettivamente utile. Ad essere vittima del cinismo di Paperino è una macchina che permetterebbe agli animali di assumere comportamenti umani.

Lo zio, del tutto incapace di cambiare il proprio punto di vista, decide quindi di giocare un brutto tiro ai nipotini e ad Archimede. Il mattino seguente, si dirige sul luogo dell’esperimento travestito da lupo, con l’intento di spaventare i nipotini e illudere Archimede. Ed è proprio qui che il sistema di ironica giustizia del Maestro dell’Oregon entra in funzione.

Alla fine, l’arido Paperino si salva proprio grazie ad Archimede, che inverte il funzionamento della macchina, dimostrando di essere una persona di buon cuore e di possedere effettivamente delle conoscenze scientifiche fuori dal comune.
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Invenzioni o pasticci?
I temi della fallacia delle invenzioni di Archimede e della sua personalità trasognata ma fondamentalmente buona, ritornano in Paperino e l’esca diabolica (1953). Come quasi sempre accade, anche questa storia si apre con Paperino travolto dalla malasorte, stavolta durante un torneo di pesca.

Alla vista dei portentosi vermi che pescano autonomamente le prede, Paperino pregusta già la vittoria. I buoni risultati effettivamente non tardano ad arrivare, ma Paperino si lascia prendere dall’ingordigia e utilizza più vermi del dovuto per acquisire vantaggio sugli altri pescatori. Ovviamente, la situazione precipita.

A nulla valgono gli sforzi di Paperino, dei nipotini e degli altri partecipanti alla gara; le mute di vermi sono inarrestabili e continuano incessantemente a pescare. Quello che voleva essere un escamotage truffaldino, si trasforma in un incubo. Il panico si diffonde tra i pescatori, che temono una vera e propria catastofe ecologica a causa dell’invenzione di Archimede. Quando tutto sembra perduto, l’inventore fa la sua comparsa.

Ovviamente, l’affermazione causa l’ira dei presenti, che nella vignetta di chiusura lo inseguono furiosi. Anche in questo caso, Archimede è un personaggio liminale, in bilico tra genio, caos, spesso talmente assorto nelle proprie creazioni da ignorare ciò che accade attorno a lui.
Un inventore con zero fiuto per gli affari
All’inizio della splendida Zio Paperone e le sette città di Cibola (1954), caposaldo del filone avventuroso di produzione barksiana, avviene il primo incontro tra Paperone e Archimede.

Archimede, non riconoscendo l’interlocutore; mette subito le mani avanti, affermando di aver già venduto il brevetto alla fabbrica di automobili De’ Paperoni, all’irrisoria cifra di cinquanta dollari.
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Se da una parte quindi, si registra un miglioramento rispetto alle prime avventure, in cui le invenzioni di Archimede creavano solo danni, pasticci o risultavano inutilizzabili, dall’altra intuiamo che il nostro inventore non ha alcuna idea del valore economico delle proprie creazioni.
Un’anima semplice e sensibile
In Archimede e l’acchiappalucciole (1959), Barks arricchisce ancora la personalità di Archimede, scandagliando più in profondità il suo animo. In apertura della storia, lo vediamo infatti in uno stato di forte ansia, perché a corto di idee in vista del Congresso degli Inventori.
Lo stato d’animo turbato di Archimede viene inserito in un’idilliaca serata estiva illuminata dal bagliore delle lucciole, in modo da far empatizzare il lettore sin dalle prime tavole. Ed ecco che, improvvisamente, il nostro inventore ha un’idea.

Carico di buoni propositi, presenta alla giuria del convegno la propria creazione, speranzoso che i colleghi ne intuiscano l’utilità. Purtroppo, l’incontro va nei peggiori modi possibili: dopo un inizio incoraggiante, Archimede viene brutalmente cacciato dai giurati, che ritengono la sua creazione inutile e infantile.
Rifiutato e in uno stato depresso, l’inventore ritiene che la sua carriera sia giunta alla fine, e guardando il cielo si paragona ad una meteora. Come fanno questi corpi celesti, che a contatto con l’atmosfera prendono fuoco, Archimede crede di aver bruciato tutte le tappe della sua esistenza. Ma improvvisamente lo strumento si attiva, rilevando il luogo dell’impatto della meteora. Archimede, animato da un sincero interesse scientifico, si reca al cratere, per scoprire con orrore che la meteora si è schiantata su una ferrovia.

La giuria riconosce finalmente l’utilità del congegno di Archimede, organizzando grandi festeggiamenti in suo onore e attribuendogli il primo premio. Ma come Carl Barks ci ha già spiegato più volte, Archimede è un’anima semplice. L’inventore, nonostante sia ufficialmente un vincente, preferisce allontanarsi dai clamori e ritirarsi in disparte ad acchiappare lucciole.
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L’eredità di Carl Barks
Archimede, ormai un personaggio ben definito, farà presto breccia nei cuori dei lettori e dei colleghi di Carl Barks, che partendo dal suo modello ne sapranno trarre spunti interessanti. Ovviamente, tra gli autori che più omaggeranno il modello barksiano, spicca il nome di Don Rosa.
In La prima invenzione di Archimede (2002), che celebra i cinquant’anni del personaggio; Don Rosa collega tutti quegli snodi narrativi che Barks aveva disseminato nel corso degli anni e li arricchisce con elementi del proprio universo narrativo. Don Rosa cita infatti i parenti di Archimede, da lui creati e già apparsi nella Saga; a cui affianca rimandi a storie precise del Maestro dell’Oregon (Zio Paperone, Paperino e il ventino fatale e la già citata, L’amuleto del cugino Gastone).

Per quanto riguarda la caratterizzazione del personaggio, essa resta affine alla descrizione di Carl Barks. Anche Don Rosa mostra un Archimede spesso con la testa tra le nuvole, sempre e comunque animato da buoni principi.
Per quanto riguarda il filone italiano, si possono riscontrare diverse caratterizzazioni: da quella legata alle ambientazioni noir del Paperinik martiniano, in cui Archimede diventa l’infallibile braccio destro del vendicatore mascherato a quella più recente di Pezzin e Salvagnini, in cui mostra nuovamente i suoi tratti più umani e ingenui. Dopo settant’anni dalla nascita, il nostro Archimede ci appare più in forma che mai e continua ad allietarci con le sue avventure, ricche di geniali creazioni ma soprattutto di gentile bizzarrìa e semplicità! Tutto merito, tanto per cambiare, della scintilla primigenia di tanti dei nostri amati Paperi: il genio di Carl Barks.
Giulia Santanché
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